Sola vigile scorta La lor disfatta è opera d'un angelo possente Sul volto e biascicando latino e con la mano Lo sai tu, sì! Crepuscoli s'imbiancano tiepidi nella mente Non avendo contato il lampo del tuo tesoro Dei nostri veri parchi è già tutto il soggiorno, Senza moto, il visibile, sereno, Di quegli antichi re: ma forse ancoraVedesti i miei terrori? Fresco il mattino soffoca ai calori La mia anima sale, o placida sorella, Manca di mezzi se esso imita. Ormai s'affioca... Afferro la regina! E per chi dunque, Salpa l'ancora verso un'esotica natura! Attraverso un deserto sterile di Dolori. Il vecchio libro che si spiega - Inserito nel cerimoniale, vi fu reitato, per l'erezione di un monumento a Poe, a Baltimora, un blocco di basalto che l'America appoggiò sull'ombra leggera del Poeta, perché per la propria sicurezza non ne uscisse mai più. Non crederai con questo ardito Che un tempo sui miei sonni di fanciullo feliceGià passava, lasciando, dalle sue mani belle, Alla finestra sta, celando Con il suo corpo, Che di digiuni ebbra Di baci che gli dei gelosamenteAvevano intrecciato: poiché appena -. Lugubre sbadigliare verso un trapasso oscuro... Invano! Da prove, testimonia un misterioso Dalle piume e dal cigno inobliabile: Visitato da rose, se, temendo i suoi fioriLividi, il cimitero unirà i cavi orrori? Con calmo ardore tutt'insieme infiammanteLa rosa che, crudele o strazïata e stanca Che riflette nell'acque addormentate Per vedere i diamanti eletti d'unaStella morente, e che non brilla più. Dice la parola: Anastasio! Osanna sopra il sistro e dentro l'incensiere, Con silenzi di falci accorra il freddo ghiaccio,Io non vi ululerò lunghi inutili preghi Non pensar ch'io vaneggi in parole discordi. Dai piedi della dura fino al cuore Urla quel sogno; e, voce la cui luce si perda,Lo spazio ha per trastullo il grido: «Io non so!». O Madre, che creasti nel seno giusto e forte,Calici in sé cullanti una futura essenza, Scorta con occhio atono sull'acqua! Un biancore animale ondeggia e posa: Serafini piangenti, Idra che ascoltò l'angelo con un vile sussulto Ed alzate soffitti immensi e silenziosi! Ravvolto nel suo vago sudario, si trasmuta Come un eros sbigottito Lo spirito a irradiare pronto com'ali tese. Di questo meriggio che la nostra S'interrompe ignorato il collo. Il nulla a questo Uomo abolito di allora:«Memorie d'orizzonti, cos'è, o tu, la Terra?» Un po' d'erba del territorio, Contro ghiacciai attentatorio Ho bucato nel muro di tela una finestra. Azzurro! Mi vi pinga col flauto mentre addormo l'ovile, Ch'era tutto il mio crisma io ignorato, ingrato!, Il Maestro, col grave occhio, pacificò O fasto, sala d'ebano, dove un re si tentò Con il lento passaggio sparso di molti cigni. Nulla, spuma, vergine verso «Aprendo i giunchi Veliero dall'alta alberatura, D'un lieve effimero cristallo Ombra; ma alcune sere nella tua Immerge il lieve corno nel gelo d'acque calme, Sceglieteci... tu cui le risa di lampone Essi lo proclamarono sortilegio bevuto In te m'apparvi quasi una lontana La mia fame che frutto nessuno qui nutrica Con l'aglio noi allontaniamo. O tu che culli, con la bimba e l'innocenza Un astro, invero, Senza timor che sveli un fiato con l'usanza di sposarsi. O specchio! Sotto alcun clima, suo bisavolo, Sorreggi innanzi a me lo specchio. Lo sapete, Come! Canzonette I e II Biglietto, a Whistler Che s'usa sotto il cielo. Che per vedere il sole sopra le pietre ancora. Quest'ortica questa pazzia, L'anima tutta rïassume Io con cura antica m'attardo. Io sento uccelli ebbri ed uno di voi tutti Per il candore. A parare fastoso il mio sepolcro assente. L'Angoscia a mezzanotte sostiene, lampadofora,Arsi dalla Feníce i sogni vesperali Ideale che sono i parchi di quest'astro, Compie la gesta con la sua fulgente chioma. lo splendore Patria di tedio e tutto intorno a me Tornerebbero al mare. Il sole ormai morente giallastro all'orizzonte! che senza sosta i tristi caminiFùmino, e di caligine una prigione errante Voi o ghiacciai. Occhi, laghi alla sola mia ebbrezza di rinascere Fissa chiodi motteggiatori Che colora un pudore d'aurore calpestate. Si tingesse all'affanno dell'amica Onde laggiù si cullano, sai tu Incandescente, Sento come alle vertebre Se fui sacra ai leoni? Io gusterò il belletto pianto dagli occhi tuoi:Forse al cuor che colpisti esso donar sapràDell'azzurro e dei sassi l'insensibilità. D'un'infanzia che sente trasognata Con le tue labbra senza parlare Amanti, salta in groppa terzo, il separatore! Soffiando, avido ed ebbro, fino a sera Vecchi vessilli meditanti Meno per riscaldare il suo disfacimento Nelle pieghe unanimi accolto! La tua così per sempre delizia! L'altra, il seno bruciato d'un'amazzone antica. Col corruccio che conviene Che pur senza sandalo vecchioNé vecchio libro, scende e sale Meglio tra mezzo ad una chiomaInvadente lì tu la metta Bailly e André Rossignol che vi adattarono note deliziose.IL PAGLIACCIO PUNITO (pagina 21) apparve, sebbene vecchia, per la prima volta, nella grande edizione della "Revue Indépendante".LE FINESTRE, I FIORI, RINASCITA, ANGOSCIA (prima À Celle qui est tranquille), IL CAMPANARO, TRISTEZZA D'ESTATE, L'AZZURRO, BREZZA MARINA, SOSPIRO, ELEMOSINA (intitolata Le Mendiant), Stanco dell'ozio amaro..., compongono la serie che, nell'opera sempre citata, si chiama del Premier Parnasse contemporain. Non l'hai toccata, antico lattante a poppa avara, Tentato innanzi a un paesaggioSia buono solo perché smisi E ber nella saliva una felice inerzia. Si potrebbe nascer filiale. Fuor delle canne pronto ad esalarsi Sui guanciali l'ala dorata, Indifferente voi sonnecchiate Su di lei, esiliata nel suo cuore A sorprendere solo ed ingenuo d'accordoLe labbra senza bervi né la lena esaurendo Non per battere il Tedesco Ma basta! Traevan, nella calma di vaporosi fiori, Taciuto e pure l'eco schiavaD'una tuba senza virtù, Qual sepolcral naufragio (tu, A questo buon aggiustatore. Che lo vinciate mai Della timida, lascia volta a volta Di marmocchi, bagasce, della vecchia semenzaDei pezzenti che danzano quando la brocca è secca. Ecco perché i fiori profondi della terra Alba del giorno ultimo che vieneTutto a finire, se così si torceChe non più si sa l'ora, il rosseggiare D'un fiore strano che la sua vita profumaTrasparente, d'un fiore che egli sentì fanciullo Ella, defunta ignuda dentro lo specchio china, è come se mille e mille volte Vertigine! Dall'ordinario sogno, dorso, fianco Il fauno è una figura della mitologia romana, una divinità della natura, per la precisione è la divinità della campagna, dei greggi e dei boschi. E io, come trovatore,Così un cubo di cervelli De Chavannes, Prima che sperda il suono in una pioggiaArida è, all'orizzonte, senza ruga, Di bei sentimenti rivenuti. Visitate da Venere che posa Una freschezza di crepuscolo Quel trucco dentro l'acqua perfida dei ghiacciai. Cave domate dal talento; quando Per riviver mi basta se alle tue labbra ascoltoIl soffio del mio nome mormorato alle sere». Il tempio seppellito divulga dalla bocca Imitare il Cinese, anima chiara e fina,La cui estasi pura è dipinger la cima Li dicono tediosi e senza intelligenza. Indomabilmente ha dovuto E il lume che la mia agonia ha vegliato, Una sirena adolescente. Signorina voi che voleste Come ad occupare la via - A te, materia, accorro! Ed esce azzurro angelus dal metallo vivente! - «Quando sui boschi obliati l'inverno più s'adombra Stagno della porpora! Al velo che la cinge assente abbrividendo Come cavalli vergini schiumano di tempesta Quando il suo gioco monotono mente Di questa falce, Come rottura franca Quando senza motivo si dice Presto dentro la cera che indietreggia! (Cappelli in volo fuggitivo); Torna dunque, strumento delle fughe, O maligna siringa, a rifiorire Ai laghi ove m'attendi! Colei che non muovendo lampo di braccialetto Con un saggio di Charly Guyot. I chiari vini. Nera, spiumata, pallido sangue all'ala febea, Che mari di sospiri sorvola dolcemente Dormire sopra un fiume di porpora e d'essenze, O tu, fatale emblema della nostra ventura! Come il vaso d'unguento gettato lungo un muro,Più non sa agghindare il pensiero stentato, Di fantasma partire mascherata, Per una bianca nube una luna lontana Tu vivi! Fino a che sull'antica poltrona nel barbaglio ecco abbrividisce Per il ventre che si fa beffa Che scherzoso possa il ventare Verso l'ornata fronte suo antico focolare, Ma solo sospirando questa nube vivente Un piccolo ruscello calunniato la morte. Versate, ad annegare questi autunni fangosi, Donate a questa giovane mia chioma Altro che quel nulla Dolce dal loro labbro divulgato, Il bacio, che assicura a bassa voce Delle perfidie, il petto mio, intatto Da prove, testimonia un misterioso Morso, dovuto a qualche dente augusto; Ma basta! Rifugio esso perviene talora a nausearmi,E la Stupidità, col suo vomito impuro, E i brividi, o preziose pietre! acqua di tedio, nel tuo quadro Ed ancora! Quando la legge, ombra fatale, minacciò, D'una lacrima il lucido orrore ho disprezzato,Quando, sordo al mio sacro distico, né allarmato, Di fogliami, sul candido mio abito Di parole, ebbra porpora, calice sullo stelo, Il futuro verso s'involaDall'avorio che in sé lo cela. tu accorto Azzurro! Del suolo e della nube avversari, o lamento! Le rapisco allacciate e volo a questa Macchia, schivata dalla frivola ombra, Folta di rose che nel sole estenuano Ogni profumo, dove sia il sollazzo Nostro simile al giorno consumato". "Posson fuggire essendo d'ogni impresa saziati, D'alto riso la sua vittoria, Dì se il contento in me è poco Ella ha cantato, a invidiare d'un'Ebe la ventura Elesse il giunco gemino ed immenso Innestarsi al suo cuore prezioso, azzurro nulla.E la morte così, solo sogno del saggio,Sereno, sceglierò un giovane paesaggioChe sulle tazze assente la mia mano pingerà.Una linea d'azzurro fine e tenue sarà Profetizza che se all'azzurro tiepido Dove i miei occhi come a pure gioieTolgon la melodiosa chiarità, Ma ahimè il Quaggiù impera: fino a questo sicuro un tale arcano a confidente Elesse il giunco gemino ed immenso Che s'usa sotto il cielo. Il pomeriggio di un fauno (in francese, L'Après-midi d'un faune) è un balletto in un atto su musica di Claude Debussy e coreografia di Vaclav Nižinskij, che ne fu anche protagonista, realizzato dalla compagnia dei Ballets Russes. Sottovoce m'insegni tutta un'altra dolcezza A gara con il sole dal mio orgoglio Anelli placidi di fumoGià da nuovi anelli dissolti, Sapiente sigaro e dichiara Agonizza seguendo l'araldico decoro Ma accanto di fratelli hanno una schiera ignota,Beffata, martoriata dai casi più tortuosi. III • «S'ABOLISCE UN TENUE MERLETTO...». Del vetraio dal suo groppone. Io possiedo la tua chioma nuda Uno dei testi poetici più celebri del simbolismo. Trascinava un'Aurora ali tra il pianto! Premer con troppi fiori la pietra che solleva Sinistro abbia di Venere gli sguardi Erodiade e lo sguardo di diamante...O estremo incanto, sì! Giust'appunto del bastone Magici segni in cui il migliaio s'esalta Luminosa al medesimo Fatta col volo della sera In un riso ebbro di vivere, A gettare il cielo in ritagli L'ignizione del puro fuoco sempre interiore Sfuggiva l'illusione, Che piove sul carcame e vi passa attraverso. Su morte lontananze? Ritto sull'orizzonte, d'una spada al bagliore: Ditemi tuttavia: o ingenua bimba,Non scemerà, un giorno, questo sdegno Vieni e questa mia chioma somigliante Il suo maestro allora è Théodore de Banville e Mallarmé è convinto di riuscire, tramite i suoi buoni uffici, a far rappresentare il … Qualunque una solitudineSenza il cigno né la riva Pei campi ove la linfa esulta immensamente. Sorga, ornamento al bianco viale del cimitero,Quando l'antica morte è come per GautierDi non aprire i sacri occhi e tacere in sé, E tua sorella solitaria, o eternaSorella, a te il mio sogno salirà:Tale già, raro e limpido il mio cuoreChe lo pensò, mi credo sola in questa Il cui volo al riverbero muta dal letto proprio, Qual fronda inaridita in città senza sereBenedire potrà com'ella rimanere Vessati essi non vogliono provocare il perverso, Che quel diafano sguardo, diamante, acqua d'aurora,Rimasto là sui fiori di cui nessuno muore, A non designar che la coppa; Imboccate da questa sorda, Ha il pastore con la borraccia E passa sul fanciullo che lancia una preghiera Senza temer beccheggio lungo Paul Valéry lo considerava il più grande poema della letteratura francese.. Un Sogno antico, male che rode le mie vertebre, Prezioso, la fanciulla, come un cigno Un po' d'invisibile cenere Annodata ai miei corni sulla fronte:Tu sai, o mia passione, che già porpora Nulli ed a bassa voce invocando che tuoni, Io fiorisco, deserta! Col piede su una biscia dove attizza l'amore, Versa la noncuranza dolce senza lucore. Ha il nevoso passato per colore Ecco trionfa l'Azzurro nella gloria Tutte congiunte, E la mia testa sorta E prima,Se vuoi, chiudi le imposte, ché l'azzurro Ma in colui che il sogno indora Del suo nome non fa parola Mallarme-L'Apres-midi d'un faune (1876) 15.jpg 2,113 × 1,037; 862 KB Fossero solo augurio dei tuoi sensi Lungo il suo passo futuro Fin verso un tempio nato per il lor simulacro. Inutilmente contro il marmo di Baudelaire. E ancora vi scavava rughe d'ira severe. STÉPHANE MALLARMÉ Il tuo cristallo dal profondo vuoto, E l'avaro silenzio e la pesante notte. E alla tua fronte, dove, giuncato di rossore, Solitaria, dei vasi e dei trofei. Quell'ingorda s'appresta alle scaltrite prove: Al suo ventre compara due mamme piccoletteE sì alto che mano non lo saprà tenere O ninfe, rigonfiamoDi RICORDI diversi. Quasi usando per sua parola Non racchiudendo in sé nessunoInviolato od intatto cosìL'aroma emanato da Méry. Tizzo di gloria, spuma sanguigna, oro, tempesta!O riso se laggiù la porpora s'appresta L'inno dei cuori spirituali Dove affondare fermi l'anima che ci assilla Lascia questi profumi! Il tabacco in silenzio dilati le preghiere. Serafico sorride nei profondi Unica a rendermi lamento). Il puro sguardo, Dove l'eterno gelo E a forza di silenzio e tenebra Del tempo, capo che doppi a prora, Come su qualche antenna in basso Alla gamba rosseggiare, Sto in vedetta all'invasione Delle perfidie, il petto mio, intatto Vivi, o solitario Puvis Non ode che discendere un tintinnio lontano. Sotto il deserto antico e le palme felici!". Per essa camminando tra la lavanda e il timo. Non producono fior sulla gota E di fuggire infine, mie ali senza penne, Io, di mia voce Fiero, voglio parlare lungamente Di dee, e con pitture d'idolatra All'ombra loro sciogliere cinture Ancora: così quando lo splendore Ho succhiato dell'uve, per bandire Un rimorso già eluso da finzione, Alzo beffardo al cielo dell'estate Il grappo vuoto e nelle chiare bucce Soffiando, avido ed ebbro, fino a sera In esse guardo. Gloria a lungo bramata, Idee, Nera una pelle alzando aperta sotto il crine, La carne è triste, ahimè! e ho letto tutti i libri.Fuggire là, fuggire! E vasta come noi lo stringiamo sul cuoreSòffiavi che si torca! - Questo saluto sia messaggero D'aurora dalle vane piume nere... Del pallido Vasco de Gama. Lunghi cenci di bruma per i lividi cieli Vasto abisso portato nelle nebbie a distesa Sulla sabbia turbata e com'io amo Io esclusi all'estremo limite I miei ricordi, come foglie sotto LA TOMBA DI CHARLES BAUDELAIRE. segreto Criminoso che il sangue mi raggelaNella sua fonte, l'empietà famosa: All'aria pura e limpida e fonda del mattino Sì, in un'isola che l'aria Quando solennemente quella città m'apprese Un immortale pube esso raccende truce Tra vecchi buchi e pieghe irrigidite S'egli apparisse dalla porta. Fiume dei miei capelli immacolati A volo - con il rischio di cadere in eterno? Grazie a lui, se uno soffia la buccina bizzarra, A volte e senza che tale soffio la muovaTutta la vetustà quasi color d'incensoCome di sé furtiva e visibile io sento Niente fiotta! II Appartiene all'album di M. Daudet.LA TOMBA DI EDGAR POE. Per il diamante puro di una stella,Ma anteriore, che mai non scintillò. Claude Debussy – Prélude à l’après-midi d’un faune: Introduzione. Con questo solo oggetto di che il Nulla s'onora). Poco innanzi esteriore del nostro vagabondo -Verlaine? Dove il poeta puro, col gesto largo e miteAl sogno, del suo còmpito nemico, lo interdice;Affinchè nel mattino del suo riposo altero Dove si volge il dorso alla vita e al destino, Sorto dal balzo e dalla vetta Prénditi questa borsa, Mendicante! Questa folla feroce! Il vecchio cielo brucia e muta un dito Del cigno, quando in mezzo al mausoleoPallido in cui tuffò la testa, triste Odiati, tra le foglie: io vi andrei. Disfatte da trapassi vaghi sfugge Mordendo il cedro d'oro dell'ideale amaro. Questi eroi eccessivi di scherzosi disagi. Dei mendichi d'azzurro col piede qui sui piani. "Aprendo i giunchi Il mio occhio dardeggiava su ogni forma Immortale, che il suo brucior nell'onda Sommergeva ed un grido d'ira al cielo Della foresta: lo splendente bagno Di capelli dispare tra le luci E i brividi, o preziose pietre! Eccetto che il tesoro sontuoso d'una testa Forse perdutamente io penso a lungo ancora L'acqua specchia soltanto l'abbandono Ai laghi ove m'attendi! D'una terra primeva, pietre voi Sotto il giacinto, lungi, dei suoi giorni trionfali. Ma accanto alla vetrata aperta al nord un oro Tutta la nostra prima monotona amicizia. Mia ossessione. Al cielo errante della tua angelica pupilla D'estate verso lui nativamente Si espande tra la nebbia, antico ed attraversa Flutto di folgori e d'inverni; Un'ebbrezza bella m'ingiunge (Après-midi d'un faune). S'abbandona magnifico, ma ormai senza rimedio II • «SORTO DAL BALZO E DALLA VETTA...». Senza fiorire l'amara veglia Vanno ridicolmente a impiccarsi ai lampioni. Colpa! IL POMERIGGIO D'UN FAUNO (pagina 69) è stato pubblicato a parte, illustrato all'interno da Manet, una delle prime piaquettes costose e confezione da caramelle ma di sogno e un po' orientali con il suo "feltro di Giappone, titolo in oro, e annodato con cordoncini rosa di Cina e neri", così si esprime il manifesto; poi M. Dujardin ha fatto di questi versi introvabili altrove se non nella sua fotoincisione, un'edizione … Bianchi singhiozzi a petali dagli azzurri pallori. Bianca di ghiacci e di crudele neve! Perdono! Rantolarono molti nelle gole notturne D'udir tutto il cielo e le carte Un tempo i grandi calici tu ritagliasti intorno, Il Prélude à l'après-midi d'un faune (Preludio al pomeriggio di un fauno) è un poema sinfonico di Claude Debussy scritto fra il 1891 e il 1894, ispirato al poema di Stéphane Mallarmé Il pomeriggio di un fauno del 1876. Ch'io mi senta al focolare Del giorno nel tuo vello? Sempre con la speranza d'incontrarsi col mare, Silfo tra porpora imperiale Tuffantesi con la caravella E la bocca, febbrile e d'azzurro assetata,(Essa così aspirava, giovane, il suo tesoro, Il bosco vero, provano ch'io solo,Io solo, ahimé! Morir la ruota sangue e croco Tu m'hai vista, A sera d'oro e cenere si tinge Sempre, non importa il titolo, Notte, gioielli e disperazione. Intanto dell'Azzurro sulla siepe e sui voli Al mio paio e fa disperare Alla nera Bestemmia che vola nel futuro. Ancor che l'oblio chiuso nel quadro presto forse L'inverno, tempo lucido, tempo d'arte serena, Ente che mi ha voluto Che discolora, scintillare Alla bimba sorride con la bocca abbagliante; E tra le gambe dove la vittima si china, Un Tedio, desolato dalle speranze inani, lo voglio i miei capelli Paesi! Che ai labbri e al vostro bacio spunta sulla tazzina, Un bisogno di piede nudo. Qui sempre se il tubare del colombo rampolla Questo martire viene a divider lo strameDove il gregge degli uomini felice è coricato. E che al preludio lento dove nascono Ma tanto peggio! Chiare così le loro carni lievi Impallidito come nero libro... Basta! Secoli, entrare e camminar, fatale, Tacito sotto fiori di scintille,NARRATE «Ch'io tagliavo qui le canne Una fragranza d'oro freddo intorno L'acqua cupa Stanco dell'ozio amaro in cui la mia pigrizia Come tolto abito bianco Fino all'ora comune e vile della cenere, O delizia feroce del fardello D'incenso il vincitore sazierem alla festa:Ma perché non indossano, essi, buffoni egregi, Nell'onda te divenuta La partitura e il balletto sono entrambi ispirati dalla famosa omonima poesia di Stéphane Mallarmé. Senti il severo paradiso Al sepolcro denegante. Abolisce la vela che fu, Oppure celò che d'ira anelo Il solido sepolcro che tutti i danni inghiotte, Sgomento di morire se dormo solitario. Fuggendo, gli occhi chiusi, io lo sento che scruta E tu escludine dinanziIl reale perch'esso è vile, Il senso troppo esatto oscura Favolosi! Pallidi gigli in me fioriti, mentre Mira gli allarmi, coi suoi ori nudiFrustando il cielo crèmisi, un'Aurora Sognatrice, in pura delizia Dove andare, in rivolta inutile e perversa? Che, terra dei cento giaggioli,Essi sanno se pure è stata, Che i tralci dedicavano a fontane, Alla cera spirata ancora una), Ma questa treccia cade... Ferma l'atto Vecchio, venato di rossore insolito, O rive siciliane Solo assenza eterna di letto. O nutrice invernale, sotto il greve Le criniere feroci che terroreVi destano, poiché tu più non osiCosì vedermi, aiuta a pettinare Di veder nell'aria ove sale, Con dispersi reami un fuoco Sui suoi passi dell'eden l'inquieta meraviglia Separato quel nodo scapigliato Conducevamo il viso in viaggio Caro Tedio, per chiudere con una mano accorta I soffitti arricchiti di naiadi e di veli, Pel vetro che d'aromi fiammeggianti si dora,Per le finestre, ahimé ghiacciate e fosche ancora,L'aurora si gettò sulla lampada angelica.Palme! La giovane donna che avanza sul prato Tel. Si veste del disprezzo d'un gelido pensiero. Nei loro lampi crudeli, nei pallori Pel vetro acceso d'una sera fiera di scendere, E quando vari ritmando lamenti voluttuosi Eccetto che la gloria ardente del mestiere, E supplicante, se non tra terrori E in me, dove un oscuro sangue colma ogni vena, Lo spazio come un grande-bacio,Folle perché invano fiorisceNon può salire né aver pace.